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La sindrome della tribù che può uccidere il web

di Andrea Romano

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21 gennaio 2010

Un paio d'anni fa mi capitò di commentare sulla Stampa il primo VaffaDay di Beppe Grillo. Non ne ero entusiasta e non lo nascosi, per quanto con argomentazioni che rilette ancora oggi mi sembrano sostanzialmente pacate. Eppure non bastò a contenere la reazione della rete,o almeno di quella porzione della rete. Il commento, transitato sul popolarissimo blog di Grillo, trascinò alcune migliaia di fan del VaffaDay sul piccolo spazio web dove ripubblicavo i miei articoli. Ne risultò una valanga di centinaia di contumelie personali, alcune delle quali significative per colore (mi sarei guadagnato gli inviti di Berlusconi a mangiare la cassoeula o avrei fatto venire l'ittero ai gatti) e molte altre con maledizioni meno bonarie all'indirizzo dei miei figli o dei miei antenati.

Al di là del caso personale, il meccanismo è già noto e ben descritto. La rete libera da vincoli e inibizioni, come accade anche al più serafico automobilista che si trovi a maledire il suo prossimoben protetto dall'anonimato del volante. E dunque scatena pulsioni che normalmente sono temperate dalle convenzioni delle nostre relazioni personali. Eppure c'è qualcosa nelle modalità con cui la discussione pubblica italiana si è intrecciata con internet che rimanda ad una particolarità della nostra storia recente. Le molte contumelie che ogni giorno ci capita di leggere su internet ovunque si discuta di politica non hanno niente a che fare con la nostra buona o cattiva educazione, ma descrivono i confini di un'opinione pubblica che sulla rete si è organizzata secondo una struttura tribale.
Dove ci si ritrova attorno al focolare di un'opinione della quale si è già ampiamente convinti, cercando conforto nello specchio virtuale di un'identità che sentiamo già nostra e dunque maledicendo chiunque si affacci in quello spazio per metterla in discussione. Quella che vediamo sulla rete politica italiana somiglia ad una distesa di piccoli accampamenti ben fortificati, con pochi e stretti sentieri di collegamento e uno scarsissimo flusso in entrata e in uscita da ogni recinto. Tutto il contrario di un'agorà tecnologica, perché lo scambio di informazioni non è funzionale all'eventuale cambio di opinione ma serve solo a cercare conferma a convinzioni giàmarmorizzate.

Se proprio volessimo cercare un colpevole non lo troveremmo certo in Grillo né in un qualsiasi altro tra i molti capi-tribù del nostro dibattito virtuale, che semmai hanno avuto l'acume di comprendere meglio di altri le caratteristiche di un fenomeno che appare molto peculiarmente italiano. Le ragioni sono forse da ricondurre ai modi nei quali si è organizzato – benlontano da internet – un confronto politico che da circa quindici anni ripropone le stesse linee di divisione interna. Anche qui con rare modifiche e con scarsissimi flussi in entrata e in uscita, ma con l'articolazione di blocchi elettorali e di opinione pubblica che appaiono sorretti da convinzioni identitarie ben poco permeabili al flusso di informazioni.

Quei blocchi hanno conosciuto esperienze di innovazione nella comunicazione e nei linguaggi politici anche molto rilevanti, che tuttavia fino ad oggi non hanno avuto bisogno di attingere alla retecome strumento di creatività o di partecipazione. Si pensi all'esperienza berlusconiana, che dal primo discorso del 1994 ("L'Italia è il paese che amo…") fino al contratto elettorale e poi alla diffusione del pamphlet di immagini "Una storia italiana" si è rivelata assai più innovativa di quanto sia stato tentato dal centrosinistra. È di questi giorni, ad esempio, la campagna di manifesti di Bersani in cui il suo bel volto viene associato ad uno slogan ("Per l'alternativa") che appareletteralmente teletrasportato dalla fine degli anni Settanta. Eppure né l'innovativo Berlusconi né il più rassicurante centrosinistra sono ancora riusciti a cogliere le potenzialità partecipative della rete, come negli ultimi anni è stato fatto non solo dal solito Obama ma anche dal più vicino Sarkozy. Finendo per ignorare un luogo come internet che, in mancanza di nuove offerta politica, ha finito per essere dominato dal tribalismo e dalle sue liturgie.

21 gennaio 2010
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